Con sentenza n. 26143 del 3 luglio 2024, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che commette il reato di riduzione in schiavitù, previsto dall’art. 600 c.p., il datore di lavoro che conscio della condizione di debolezza fisica, psichica, esistenziale della persona offesa, se ne avvalga per accedere alla sia sfera interiore, manipolandone capacità critica e tensioni emotive e, per tale via, inducendola ad accettare con remissività il trattamento di vita impostole, caratterizzato da ridotti spazi di autodeterminazione e da esigui margini di libertà di movimento, cui si accompagnano condizioni di lavoro inumane, perché usuranti, non assistite da alcuna tutela e retribuite in maniera irrisoria.
Fonte: dottrinalavoro