L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato la nota n. 9943 del 19 novembre 2019, con la quale ha fornito alcuni chiarimenti in merito al termine entro cui è possibile far valere la responsabilità solidale del committente per debiti contributivi, alla luce delle recenti pronunce della Corte di Cassazione.
L’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003, sancisce il principio della responsabilità solidale del committente di un appalto di opere o servizi per i crediti retributivi e contributivi vantati dal lavoratore dipendente verso il proprio datore di lavoro/appaltatore, stabilendo che “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto”.
La ratio della norma è quella di garantire il pagamento del corrispettivo e degli oneri previdenziali dovuti, consentendo al lavoratore e agli Istituti previdenziali di esperire azione diretta nei confronti di un soggetto terzo, il committente, che di fatto ha beneficiato della prestazione lavorativa nell’ambito della quale tali crediti sono maturati.
In relazione al regime di responsabilità solidale, occorre distinguere i crediti retributivi dei lavoratori dai crediti contributivi degli Istituti previdenziali, al fine di individuare i termini per l’esercizio delle relative azioni.
Al riguardo, la Corte di Cassazione ha recentemente affermato che il regime decadenziale dei due anni previsto dall’art. 29, comma 2, trova applicazione esclusivamente all’azione esperita dal lavoratore. La Corte, argomenta partendo dalla considerazione, consolidata in giurisprudenza, secondo cui il rapporto di lavoro e il rapporto previdenziale, per quanto connessi, sono tra loro distinti, atteso che l’obbligazione contributiva, facente capo all’INPS, a differenza di quella retributiva, deriva dalla legge, ha natura pubblicistica e risulta pertanto indisponibile.
La Corte, inoltre, evidenzia come l’oggetto dell’obbligazione contributiva coincida con il “minimale contributivo strutturato dalla legge in modo imperativo”, ritenendo pertanto che l’applicazione estensiva del termine decadenziale dell’art. 29, comma 2, porterebbe ad un effetto contrario rispetto a tale assetto normativo ovvero alla possibilità che “alla corresponsione di una retribuzione a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore, non possa seguire il soddisfacimento anche dell’obbligo contributivo solo perché l’ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto”, con conseguente vulnus nella protezione assicurativa del lavoratore che, invece, l’art. 29 cit. ha voluto potenziare. (cfr. sent. n. 18004 del 04.07.2019, n. 22110 del 04.07.2019, n. 8662 del 28.03.2019 e n. 13650 del 21.05.2019).
Sulla base di tali argomentazioni, quindi, la Corte ha affermato il principio in virtù del quale il termine decadenziale di due anni previsto dall’art. 29, comma 2, riguarda esclusivamente l’esercizio dell’azione nei confronti del responsabile solidale da parte del lavoratore, per il soddisfacimento dei crediti retributivi e non è applicabile, invece, all’azione promossa dagli Enti previdenziali per il soddisfacimento della pretesa contributiva. Quest’ultima risulta soggetta, dunque, alla sola prescrizione prevista dall’art. 3, comma 9, L. n. 335/1995.